Che si tratti di rabbia, di angoscia, di paura o disperazione per le prime 72 ore vivo in balia di emozioni che escono prepotentemente, senza filtri o barriere.
La gola è stretta in una morsa.
Come spesso accade faccio fatica a respirare.
Sono le 4 del mattino, l'ora dei polmoni, l'ora della tristezza.
Mi alzo, vorrei bere ed invece mi sciolgo in un pianto morbido apparentemente incomprensibile.
Tornata a letto provo qualche esercizio di respirazione.
Inspiro le qualità ed espiro tutto ciò che di me voglio eliminare.
Funziona.
Mi riaddormento.
Sono le 8 del mattino.
A tavola con "Qua e là" sto facendo colazione quando improvvisamente scoppio nuovamente a piangere.
Vado in camera, mi sdraio sul letto e semplicemente accolgo quella tristezza che emerge.
"Forse quella morsa è l'urlo che la bambina di 6 anni non ha mai potuto fare"- mi dice quell'uomo che mi sta accanto veramente nel bene e nel male, più di quanto abbia mai fatto mio marito, da ormai due anni.
Ricordo come se fosse oggi quella sera:
"Mamma mi racconti di quando sono nata?"- le avevo chiesto distesa con lei nel suo lettone.
E lei l'aveva fatto, vomitandomi la solita bugia.
"Mamma, me la racconti di nuovo?"- le avevo chiesto una volta finito il monologo.
E' allora che avevo saputo che in quella pancia non c'ero mai stata, nemmeno un secondo;
Che quella donna che adoravo ed amavo incondizionatamente;
Di cui mi fidavo senza remore mi aveva inferto la sua pugnalata.
Una ferita mortale...
Oggi l'ho capito: in quel momento io ho semplicemente smesso di esistere, ho perso la mia identità, non ho più saputo chi ero veramente ed ho smesso di avere fiducia nel mondo.
D'altro canto mi chiedo come avrei potuto visto che l'unica persona di cui mi fidavo ciecamente mi aveva tradito senza ritegno.
Gli anni a venire non hanno che rafforzato questa sensazione.
Con l'adolescenza i continui confronti con la mia mamma biologica hanno creato messaggi contraddittori rispetto a quel "Io sono tua madre".
L'unico punto fermo la presenza di mia nonna.
Quella donna, madre di quelle due donne che mi contendevano con la stessa delicatezza con cui si tratta una pallone da calcio, ha rappresentato fino ad oggi le mie uniche radici.
"Lasciala andare"- mi aveva detto Luciana nel corso di una costellazione famigliare.
Solo ora comprendo.
Come un velo dei maya che lentamente sta bruciando e sta rivelando la realtà, semplicemente, così com'è.
"Vorrei aiutarti ma tu non me lo permetti"- mi dice quella donna che mi ha cresciuta incurante di tutte le parole dette fino a quel momento nel corso di quella telefonata.
Vorrei urlarle con tutta la rabbia che mi sta montando in corpo
"PIANTALA CON QUESTA MENZOGNA!!TU NON SEI MIA MADRE, IO NON SONO TUA FIGLIA!!"
Per diversi giorni ho avuto la tentazione di prendere il telefono in mano e dirglielo, più o meno garbatamente, più o meno amorevolmente.
Oggi l'ho fatto.
Nel silenzio della corsa del mattino l'ho ripetuto all'unica persona che conti veramente: me stessa.
La piccola Marta ha potuto finalmente tirare fuori il suo dolore.
La Marta adulta ha finalmente trovato la sua collocazione nel mondo.
La verità permea ogni cellula del mio corpo.
Mi sento completa, piena di gioia.
Il passato è passato,
Il futuro deve ancora arrivare,
E la mente fa finalmente silenzio.
In questo momento,
in questo istante di non-tempo,
abbiamo ritrovato le nostre origini e siamo diventate una cosa sola.
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